lunedì 6 dicembre 2010
PREMIO CITTA' DI FUCECCHIO 2010
venerdì 15 ottobre 2010
sabato 25 settembre 2010
REPLICA: MANCANZA DI RABBIA E DI ACCUSA
operatore non c'è nessuna polemica. Ritaglio semplicemente il mio rapporto emozionale con mia madre; un rapporto fatto di emozioni forti e intense. Tutto il resto è sullo sfondo. Mi rende triste il fatto che alcuni ci vogliano per forza leggere una critica, un attacco, un'accusa. Io nel libro racconto la storia di come sono riuscita a SUPERARE IL DOLORE. A parlarne con serenità, ricordando il dialogo che mia madre ed io avevamo nonostante il delirio. Il TSO, lo scrivo, per me è stato un atto barbarico ma salvifico. Il dolore stava nell'attesa, nel volere fortemente che tornasse il prima possibile a casa.Il TSO, lo scrivo, è stata la risposta ad una situazione estrema, a cui si è arrivati con dolore, tentando prima tutte le vie possibili per dialogare con la persona. Trovo triste che in questa nostra società non si riesca a ritagliare un momento di dolcezza nel dolore, un momento di comprensione delle diverse parti: utenti, familiari, operatori, mondo esterno. C'è il momento della lotta, certo. C'è il momento della critica sociale, certo. C'è il momento della lotta per i diritti, certo. Ma non è questo il momento emozionale in cui mi trovavo quando ho scritto Son Stufadiza. Del diritto parlo come qualcosa di fondamentale, parlo della valigia che mia madre lascia riversa sul tavolo l'ultima volta che va al lavoro; una borsa " dimenticata come una premonizione abbandonata come un monito". Perché il malato è una persona che ha dei diritti e perchè questi diritti, questo sì lo credo, vanno tenuti stretti con le unghie. Ma situazioni complicate vanno analizzate con calma; conoscendo il contesto, la vita delle persone, le emozioni, gli eventi esterni. Ora, dalla mia poesia tolgo gli eventi esterni. Ci siamo io e mia madre, un accenno al nostro contesto familiare e le nostre emozioni in rapporto agli eventi. Come si può leggere polemica se mancano concretamente gli elementi sostanziali per farla? Gli argomenti, quasiasi argomento, possono essere trattati da tantissime prospettive, la poesia è la via soggettiva, intima, personale. Concluderei dicendo che spogliarsi della rabbia aiuta a essere lucidi; allora sì che si possono imbastire dei discorsi che vanno oltre l'emozione.
lunedì 6 settembre 2010
domenica 1 agosto 2010
martedì 27 luglio 2010
martedì 6 luglio 2010
INTERVISTA NOVARADIO- FIRENZE
INTERVISTA SU NOVARADIO
mercoledì 30 giugno 2010
sabato 19 giugno 2010
COMMENTO DI STEFANO MAGNI
Ho conosciuto Barbara. Alle volte mi ha parlato della sua situazione familiare. Ma mai come ora mi ha fatto capire tanto della sua esperienza. Leggendo le sue poesie mi sono reso conto della forza della sua poesia, di come la poesia sia uno strumento semiotico di un’efficacia straordinaria. Certo, perché nessun racconto fatto al bar, nessuna parola al telefono sono mai riusciti a dirmi quello che l’arte di Barbara mi ha detto con la poesia. Lo so che al centro del libro c’è la malattia mentale, ma io questa cosa la sapevo. Barbara mi aveva parlato di sua madre, per cui non vorrei, ora, fare un discorso politically correct con la mia opinione sul TSO (ho frequentato certi ambienti, saprei lanciare i miei dardi). No, da una cosa sono restato colpito, dalla poesia di Barbara. La ricchezza e la potenza delle parole, la dolcezza delle immagini. Ma com’è bello quel rincorrersi di lingua e dialetto. Barbara usa naturalmente lo strumento che le pare più opportuno, al momento più opportuno. Perché “imborezada” tocca altre corde rispetto a “euforica”, perché alle volte la preziosità dell’italiano – con le sue figure retoriche e stilistiche, e le sue reminiscenze letterarie – è più appropriata: “Caro diario affaticato e smarrito, superbo e geniale, stolto e sapiente ieri ho conosciuto la gelosia e la libertà.” La lingua è il suo uso. E Barbara lo asseconda naturalmente, riproponendo il suo quadro di vita con la sola scelta dell’idioma. Con questa scelta doppia, bipolare, che è anche doppiata dal binomio prosa-poesia, Barbara va incontro alla psicosi bipolare della madre:
“mia mama la ga la psicosi bipolare da una vita no la pol
starghe drio a nisun. La xe invalida con su scrito che la se devi riguardar”
Per mi la baba no gaveva mai sentì quela parola o solo su un manual
psicosi bipolare in bisiaco no so dir.
Ecco perché me la fa capire in poesia, questa psicosi bipolare, meglio che al bar. E comunque non la vedo più da anni, Barbara, ma fa lo stesso. È solo per essere precisi. E poi Barbara finge di essere semplice, quando gioca col dialetto, come quando dice “in bisiaco no so dir”. Eppure poche parole in bisiaco ci fanno capire meglio di qualsiasi definizione cosa sia la psicosi bipolare. Magari non a livello medico, ma cosa sia per una persona e per coloro che le stanno vicino, quello sì. E quindi, anzi, mi ravvedo, soprattutto a livello medico. Anche per questo i simboli stessi della poesia sono bipolari, come la sirena, cara immagine d’infanzia, ma che è anche quella che “ne smona col suo canto”. È perché Barbara cerca ogni modo per avvicinarsi alla madre con le sue scelte stilistico referenziali bipolari che riusciamo a capire tutto così bene. E poi, comunque, com’è bella la lettura del libro. Ma come scivola bene nelle orecchie e come resta nella mente il dialogo tra la madre e Barbara, quando parlano della sirena Farina, come si conoscono bene fatti e persone. E adesso basta, che parlo troppo, ed è meglio leggersi il libro.
lunedì 14 giugno 2010
"SON STUFADIZA" LETTO DA ILENIA MARIN
Questo è l'effetto che ha provocato su di me il libro di Barbara Grubissa.
In un momento come il nostro in cui l'essere sani, dritti, belli, fisicamente e mentalmente prestanti è l'unica maschera che ci è consentito indossare, lo sguardo obliquo, sghembo e "stufadizo" di Grubissa ci accompagna verso un altro mondo, forse meno appariscente, sicuramente più autentico e reale.
Quanto amore e quanta cura in queste parole, quanta vita vissuta in profondità.
Quanta poesia.
Ilenia Marin
Ilenia Marin è nata a Valdobbiadene (Tv) nel 1974. Dal 2003 è dottore di ricerca in Italianistica. I suoi interessi riguardano principalmente la memorialistica e la letteratura di viaggio. E' curatrice dei diari di Biagio Marin (La pace lontana, Gorizia, LEG, 2005), fa parte del comitato editoriale di "Studi Mariniani" e del volume Cervelli in gabbia. Disavventure e peripezie dei ricercatori in Italia edito da Avverbi nel 2005.
L'IMPORTANZA DELL'INFORMAZIONE
e quando a scuola parlavo di TSO nessuno sapeva di cosa stessi parlando. Anche ora mi capita...
quando parlo di questo argomento tutti mi chiedono:"che cos'è il trattamento sanitario obbligatorio?". Almeno che non stia parlando con gli addetti ai lavori o con chi ha avuto qualche esperienza similare, mi sento sola. Eppure sarebbe utile, soprattutto per un giovane che sta crescendo, venire a conoscenza di tali argomenti.
La legge attualmente, per fortuna, garantisce la tutela della salute e, se qualcuno non si rende conto di aver bisogno di cure, garantisce l'avvio di un programma terapeutico facendo riferimento alle leggi per la salute mentale. Io ho vissuto bene la condizione di mia madre, ho avuto la fortuna di essere stata educata da lei, anche se stava male, ho avuto amore. Una volta cresciuta ho superato il dramma del tso vissuto da una madre e ho recuperato con lei un rapporto magnifico, di cui serbo un ricordo fantastico. Di una cosa ho sofferto: della disinformazione. Questo non perchè i servizi sanitari non mi informassero per quanto possibile, ma perchè poi non avevo con chi confrontarmi all'esterno. Agli amici ho dovuto spiegare, a modo mio. Agli insegnanti ho dovuto raccontare, a modo mio.
martedì 1 giugno 2010
Recensione di Anna Zennaro
Ha la sfuggevolezza tipica di chi non vuol dare sfoggio della propria arte, ma di essa si ciba per nutrire se stesso.
Un'arte, quella della scrittura, che per l'autrice di "Son stufadiza" è stata un'arte salvifica, come piu' volte si legge nel libro. Una scrittura che le ha regalato intima pace, che ha messo in accordo le stonature della vita che il convivere con una persona malata di psicosi bipolare, necessariamente comporta.
E nei momenti di malattia, Barbara Grubissa aveva bisogno di mandare cuore e mente in vacanza, in vacanza dal male.
Aveva bisogno di un'isola nella quale approdare, per far distendere i pensieri al sole affinchè si asciugassero delle lacrime. E, una volta asciutti, si tramutassero in versi, in diario, in fiaba.
Spesso la poesia è impalpabile, incomprensibile. Le parole scaturiscono in versi nascendo da uno stato intimo e si rivolgono sempre ad altro, ad altri, a cose ed eventi che noi non conosciamo e che quindi non ci appartengono.
La poesia della Grubissa invece, pur appartenendo ad una realtà specifica, quella di chi convive con un malato di psicosi bipolare, è una poesia che si fa capire, è un urlo di dolore che non si puo’ far finta di non sentire. E’ la poesia del coraggio, quella di Barbara Grubissa, una poesia che si appiglia alla vita, che respira speranza.
E’, soprattutto, la poesia di chi sa di avere un’alternativa.
“Son stufadiza” ci insegna la valenza della libertà. La libertà di poter raccontare le cose per quel che sono e che sono state. Senza paura, senza vergogna, senza sconti.
Il suicidio di una mamma non puo’ essere raccontato a metà, bisogna partire dall’inizio, per arrivare alla fine.
E' stata una mamma intelligente e saggia, la mamma dell’autrice. Prima di morire le ha detto "racconta la mia storia", costringendo la figlia ad affrontare il suo dolore ed il suo talento per la scrittura e per la poesia, a superare l’uno tramite l’altro, cosicché malattia e cura diventassero un tuttuno, diventassero un libro, diventassero “Son stufadiza”.
Risolvono il libro, risolvono una vita e segnano quella di chi resta, i versi finali.
“Ciao picia, co’ moro buta via la scorza", a dimostrazione che nell'ottica delle cose, nell'ottica della vita, quella materiale, le gesta spesso hanno un senso difficile da comprendere o da decifrare. E probabilmente non ci sarà concesso di capire il “vero senso” ancora per tanto, tanto tempo.
Nel frattempo, però, ci è stato fatto dono di un piccolo capolavoro, un libro da avere in biblioteca e da sfogliare per dare un senso ai propri eventi, quando un senso gli eventi sembra non ne abbiano.
Un libro da tenere sempre nel cuore. Come l’amore di una mamma.
Anna Zennaro – Giornalista, Trieste
Per non dimenticare
lunedì 31 maggio 2010
Il luogo del libro
La scelta delle scarpe.
L'adolescenza
Una recensione del libro
Barbara è una giovane e bella donna nata nel 1976.
Quando la si incontra e si parla con lei lo si fa come lo si farebbe con chiunque altra persona o donna della sua età…
Invece Barbara è riuscita a scrivere un libro di poesie e di storia personale tanto profondo e devastante da sconvolgere tutti i parametri legati all’età e alla esperienza poetica che si acquisisce, normalmente, con gli anni e la pratica della scrittura.
Nel panorama, vasto e abbastanza uniforme, della poesia moderna italiana, Son stufadiza, perciò, si pone come vero esperimento di poesia intimistica e rivelata dove l’autrice non solo compone liriche per la semplice lettura ma scrive versi per confessarsi e ammettere avvenimenti, fatti e personaggi della sua vita che sembravano solo averla sfiorata prima dell’intera stesura del libro.
Son stufadiza smette così di presentarsi come un libro di poesie e diventa un diario di vita dove l’uso e l’utilizzo della lingua dialettale è la chiave per interpretare gli stati di animo dei personaggi e dei protagonisti ma insieme la soluzione per capire quanto l’autrice compia questo percorso insieme a tutti i lettori.
Barbara scrive le sue “confessioni” senza remore, senza filtri, senza inibizioni di nessuna sorta: poesia intimistica allo stato puro, come non se ne leggeva così da metà del secolo scorso.
E’ un mondo a parte quello descritto nel suo libro da Barbara Grubissa, animato e solcato da sirene e fantasmi e altre simili creature ugualmente eteree e sfuggevoli eppure in questo mondo si instaura con prepotenza e sopraffazione il dolore. Non solo quello portato dalla malattia descritta nell’opera ma insieme quello del trattamento medico forzato, delle cliniche, delle atmosfere opprimenti e dai non protagonisti del libro che seminano ancora più instabilità, precarietà, sofferenza, incostanza.
A cosa serve la lingua dialettale in tutto questo? A suggellare il patto invisibile tra l’autrice e il lettore: “ti parlo come parlerei a me stessa”.
Il filo conduttore dell’opera resta il Trattamento Sanitario Obbligatorio che l’autrice quasi personifica e impersona; attorno e in cerchio a lui (esso) si svolgono e si dipanano le vite dei personaggi del libro. Vite sospese e inafferrabili. Dove paragonarsi e identificarsi con sirene e ombre risulta più facile che restare armati e fortificati nella lotta.
L’epilogo, allora, non può essere che tragico e salvifico insieme.
Nessuno sa dirlo meglio che la stessa autrice : “La malattia è gommapiuma imbombita che gocciola ovunque”. La speranza e l’espiazione sono la poesia e la scrittura.
Antonia del Sambro - Aemme Servizi Editoriali
Note biografiche sull'autrice
Barbara Grubissa è nata a Trieste nel 1976. E' Dottoressa magistrale in Lettere (Università di Trieste) e attualmente è iscritta a Conservazione e gestione dei beni e delle attività culturali alla Cà Foscari di Venezia. Si è occupata di fiabe e della divulgazione scientifica per ragazzi. Ha esordito nel 1997 con il racconto lungo Mosaico d’anime folli, Libroitaliano, Ragusa. Questo è il suo primo libro di poesie. |