martedì 27 luglio 2010
martedì 6 luglio 2010
INTERVISTA NOVARADIO- FIRENZE
Lunedì 5 luglio in diretta su NOVARADIO (101.5 Firenze- 87.8 Mugello), nel programma Giravoce.
- Perché questo libro può essere utile agli altri?
- Perché dice che c'è sempre uno spiraglio di luce. Perché nonostante la malattia, le psicosi che ho visto, la bulimia che ho vissuto e superato, il suicidio di mia madre, so che c'è sempre una speranza, uno spiraglio di luce.... Basta avere il coraggio di alzare le tapparelle.
INTERVISTA SU NOVARADIO
mercoledì 30 giugno 2010
sabato 19 giugno 2010
COMMENTO DI STEFANO MAGNI
Stefano Magni è docente universitario presso il dipartimento di italianistica dell’Université de Provence Aix-Marseille.
Ho conosciuto Barbara. Alle volte mi ha parlato della sua situazione familiare. Ma mai come ora mi ha fatto capire tanto della sua esperienza. Leggendo le sue poesie mi sono reso conto della forza della sua poesia, di come la poesia sia uno strumento semiotico di un’efficacia straordinaria. Certo, perché nessun racconto fatto al bar, nessuna parola al telefono sono mai riusciti a dirmi quello che l’arte di Barbara mi ha detto con la poesia. Lo so che al centro del libro c’è la malattia mentale, ma io questa cosa la sapevo. Barbara mi aveva parlato di sua madre, per cui non vorrei, ora, fare un discorso politically correct con la mia opinione sul TSO (ho frequentato certi ambienti, saprei lanciare i miei dardi). No, da una cosa sono restato colpito, dalla poesia di Barbara. La ricchezza e la potenza delle parole, la dolcezza delle immagini. Ma com’è bello quel rincorrersi di lingua e dialetto. Barbara usa naturalmente lo strumento che le pare più opportuno, al momento più opportuno. Perché “imborezada” tocca altre corde rispetto a “euforica”, perché alle volte la preziosità dell’italiano – con le sue figure retoriche e stilistiche, e le sue reminiscenze letterarie – è più appropriata: “Caro diario affaticato e smarrito, superbo e geniale, stolto e sapiente ieri ho conosciuto la gelosia e la libertà.” La lingua è il suo uso. E Barbara lo asseconda naturalmente, riproponendo il suo quadro di vita con la sola scelta dell’idioma. Con questa scelta doppia, bipolare, che è anche doppiata dal binomio prosa-poesia, Barbara va incontro alla psicosi bipolare della madre:
“mia mama la ga la psicosi bipolare da una vita no la pol
starghe drio a nisun. La xe invalida con su scrito che la se devi riguardar”
Per mi la baba no gaveva mai sentì quela parola o solo su un manual
psicosi bipolare in bisiaco no so dir.
Ecco perché me la fa capire in poesia, questa psicosi bipolare, meglio che al bar. E comunque non la vedo più da anni, Barbara, ma fa lo stesso. È solo per essere precisi. E poi Barbara finge di essere semplice, quando gioca col dialetto, come quando dice “in bisiaco no so dir”. Eppure poche parole in bisiaco ci fanno capire meglio di qualsiasi definizione cosa sia la psicosi bipolare. Magari non a livello medico, ma cosa sia per una persona e per coloro che le stanno vicino, quello sì. E quindi, anzi, mi ravvedo, soprattutto a livello medico. Anche per questo i simboli stessi della poesia sono bipolari, come la sirena, cara immagine d’infanzia, ma che è anche quella che “ne smona col suo canto”. È perché Barbara cerca ogni modo per avvicinarsi alla madre con le sue scelte stilistico referenziali bipolari che riusciamo a capire tutto così bene. E poi, comunque, com’è bella la lettura del libro. Ma come scivola bene nelle orecchie e come resta nella mente il dialogo tra la madre e Barbara, quando parlano della sirena Farina, come si conoscono bene fatti e persone. E adesso basta, che parlo troppo, ed è meglio leggersi il libro.
Ho conosciuto Barbara. Alle volte mi ha parlato della sua situazione familiare. Ma mai come ora mi ha fatto capire tanto della sua esperienza. Leggendo le sue poesie mi sono reso conto della forza della sua poesia, di come la poesia sia uno strumento semiotico di un’efficacia straordinaria. Certo, perché nessun racconto fatto al bar, nessuna parola al telefono sono mai riusciti a dirmi quello che l’arte di Barbara mi ha detto con la poesia. Lo so che al centro del libro c’è la malattia mentale, ma io questa cosa la sapevo. Barbara mi aveva parlato di sua madre, per cui non vorrei, ora, fare un discorso politically correct con la mia opinione sul TSO (ho frequentato certi ambienti, saprei lanciare i miei dardi). No, da una cosa sono restato colpito, dalla poesia di Barbara. La ricchezza e la potenza delle parole, la dolcezza delle immagini. Ma com’è bello quel rincorrersi di lingua e dialetto. Barbara usa naturalmente lo strumento che le pare più opportuno, al momento più opportuno. Perché “imborezada” tocca altre corde rispetto a “euforica”, perché alle volte la preziosità dell’italiano – con le sue figure retoriche e stilistiche, e le sue reminiscenze letterarie – è più appropriata: “Caro diario affaticato e smarrito, superbo e geniale, stolto e sapiente ieri ho conosciuto la gelosia e la libertà.” La lingua è il suo uso. E Barbara lo asseconda naturalmente, riproponendo il suo quadro di vita con la sola scelta dell’idioma. Con questa scelta doppia, bipolare, che è anche doppiata dal binomio prosa-poesia, Barbara va incontro alla psicosi bipolare della madre:
“mia mama la ga la psicosi bipolare da una vita no la pol
starghe drio a nisun. La xe invalida con su scrito che la se devi riguardar”
Per mi la baba no gaveva mai sentì quela parola o solo su un manual
psicosi bipolare in bisiaco no so dir.
Ecco perché me la fa capire in poesia, questa psicosi bipolare, meglio che al bar. E comunque non la vedo più da anni, Barbara, ma fa lo stesso. È solo per essere precisi. E poi Barbara finge di essere semplice, quando gioca col dialetto, come quando dice “in bisiaco no so dir”. Eppure poche parole in bisiaco ci fanno capire meglio di qualsiasi definizione cosa sia la psicosi bipolare. Magari non a livello medico, ma cosa sia per una persona e per coloro che le stanno vicino, quello sì. E quindi, anzi, mi ravvedo, soprattutto a livello medico. Anche per questo i simboli stessi della poesia sono bipolari, come la sirena, cara immagine d’infanzia, ma che è anche quella che “ne smona col suo canto”. È perché Barbara cerca ogni modo per avvicinarsi alla madre con le sue scelte stilistico referenziali bipolari che riusciamo a capire tutto così bene. E poi, comunque, com’è bella la lettura del libro. Ma come scivola bene nelle orecchie e come resta nella mente il dialogo tra la madre e Barbara, quando parlano della sirena Farina, come si conoscono bene fatti e persone. E adesso basta, che parlo troppo, ed è meglio leggersi il libro.
lunedì 14 giugno 2010
"SON STUFADIZA" LETTO DA ILENIA MARIN
Ci sono parole che imprigionano, ti ingarbugliano pensieri ed emozioni e non ti lasciano andare finché non sono entrate dentro di te.
Questo è l'effetto che ha provocato su di me il libro di Barbara Grubissa.
In un momento come il nostro in cui l'essere sani, dritti, belli, fisicamente e mentalmente prestanti è l'unica maschera che ci è consentito indossare, lo sguardo obliquo, sghembo e "stufadizo" di Grubissa ci accompagna verso un altro mondo, forse meno appariscente, sicuramente più autentico e reale.
Quanto amore e quanta cura in queste parole, quanta vita vissuta in profondità.
Quanta poesia.
Ilenia Marin
Ilenia Marin è nata a Valdobbiadene (Tv) nel 1974. Dal 2003 è dottore di ricerca in Italianistica. I suoi interessi riguardano principalmente la memorialistica e la letteratura di viaggio. E' curatrice dei diari di Biagio Marin (La pace lontana, Gorizia, LEG, 2005), fa parte del comitato editoriale di "Studi Mariniani" e del volume Cervelli in gabbia. Disavventure e peripezie dei ricercatori in Italia edito da Avverbi nel 2005.
Questo è l'effetto che ha provocato su di me il libro di Barbara Grubissa.
In un momento come il nostro in cui l'essere sani, dritti, belli, fisicamente e mentalmente prestanti è l'unica maschera che ci è consentito indossare, lo sguardo obliquo, sghembo e "stufadizo" di Grubissa ci accompagna verso un altro mondo, forse meno appariscente, sicuramente più autentico e reale.
Quanto amore e quanta cura in queste parole, quanta vita vissuta in profondità.
Quanta poesia.
Ilenia Marin
Ilenia Marin è nata a Valdobbiadene (Tv) nel 1974. Dal 2003 è dottore di ricerca in Italianistica. I suoi interessi riguardano principalmente la memorialistica e la letteratura di viaggio. E' curatrice dei diari di Biagio Marin (La pace lontana, Gorizia, LEG, 2005), fa parte del comitato editoriale di "Studi Mariniani" e del volume Cervelli in gabbia. Disavventure e peripezie dei ricercatori in Italia edito da Avverbi nel 2005.
L'IMPORTANZA DELL'INFORMAZIONE
Quando mia madre ha iniziato a star male, ricordo, facevo fatica ad informarmi. Ero giovane
e quando a scuola parlavo di TSO nessuno sapeva di cosa stessi parlando. Anche ora mi capita...
quando parlo di questo argomento tutti mi chiedono:"che cos'è il trattamento sanitario obbligatorio?". Almeno che non stia parlando con gli addetti ai lavori o con chi ha avuto qualche esperienza similare, mi sento sola. Eppure sarebbe utile, soprattutto per un giovane che sta crescendo, venire a conoscenza di tali argomenti.
La legge attualmente, per fortuna, garantisce la tutela della salute e, se qualcuno non si rende conto di aver bisogno di cure, garantisce l'avvio di un programma terapeutico facendo riferimento alle leggi per la salute mentale. Io ho vissuto bene la condizione di mia madre, ho avuto la fortuna di essere stata educata da lei, anche se stava male, ho avuto amore. Una volta cresciuta ho superato il dramma del tso vissuto da una madre e ho recuperato con lei un rapporto magnifico, di cui serbo un ricordo fantastico. Di una cosa ho sofferto: della disinformazione. Questo non perchè i servizi sanitari non mi informassero per quanto possibile, ma perchè poi non avevo con chi confrontarmi all'esterno. Agli amici ho dovuto spiegare, a modo mio. Agli insegnanti ho dovuto raccontare, a modo mio.
e quando a scuola parlavo di TSO nessuno sapeva di cosa stessi parlando. Anche ora mi capita...
quando parlo di questo argomento tutti mi chiedono:"che cos'è il trattamento sanitario obbligatorio?". Almeno che non stia parlando con gli addetti ai lavori o con chi ha avuto qualche esperienza similare, mi sento sola. Eppure sarebbe utile, soprattutto per un giovane che sta crescendo, venire a conoscenza di tali argomenti.
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